Renata Boero - Fiori di carta - Renata Boero

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In tutta la produzione artistica di Renata Boero, la carta occupa un ruolo privilegiato. Utilizzata come supporto per disegni, progetti e schizzi, acquisisce nel tempo il valore di una consapevole scelta di medium. Esattamente come la tela, a partire dalla metà degli anni Sessanta il materiale viene sottoposto a trasformazioni organiche: tintura, germinazione, combustione.
Ne risultano da un lato dei cromogrammi "piatti", in cui la scansione cromatica è definita da preziose campiture e il gesto della piegatura è sostituito dall'intervento grafico di scrittura dell'artista, dall'altra opere densamente materiche.
Le ricerche sulla carta si traducono anche in libri d'artista, e dalla fine degli anni Novanta nei Fiori di carta, ispirati a un passaggio di Pasolini ne La Ricotta: "Ma proprio in quelle sbiadirsi cartaceo conserverà, morto, il suo vivo rossore. (...) Come spettro fragrante (...) con le foglie delicate che si staccano appena a toccarle".

Sequenze di fiori di carta, 2010, composizione in sequenza di carta fatta a mano, pigmenti naturali, legno dipinto e vetro museo
Sequenze di fiori di carta, 2014/15, composizione in sequenza di carta fatta a mano, pigmenti naturali, legno dipinto e vetro museo
ASSONANZE

Colori? Chiamali colori...
Non so... Se prendete dei papaveri, lasciati nella luce del sole d'un pomeriggio melanconico, quando tutto tace («perché mai nessuna donna cantò - alle tre del pomeriggio»), in un ardore di cimitero - se li prendete e li pestate, ecco, ne viene fuori un succo che si secca subito; ebbene, annacquatelo un po', su una tela bianca di bucato, e dite a un bambino di passare un dito umido su quel liquido: al centro della ditata verrà fuori un rosso pallido pallido, quasi rosa, ma splendido per il candore di bucato che cià sotto; e agli orli delle ditate si raccoglierà un filo di rosso violento e prezioso, appena appena sbiadito; si asciugherà subito, diventerà opaco, come sopra una mano di calce... Ma proprio in quello sbiadirsi cartaceo conserverà, morto, il suo vivo rossore. Questo per il rosso.

Il verde...
Il verde è l'azzurro delle foglie dei vasconi...
Di sera, quando le campane suonano e le donne cantano, sulle soglie. E, nella pace gentilizia del giardino, scende la notte come l'ombra di un temporale: le foglie stanno immobili sotto il pelo dell'acqua, e si fanno sempre più azzurre, finché diventano verdi. Ma è verde o azzurro? Così si sono vestiti certi soldati crudeli, nei secoli. Lanzichenecchi o SS: e se ne sono andati e riempire gli ossari del mondo col ricordo del colore di quel loro panno - perduto nei crepuscoli di temporale. Ma accanto all'azzurro che si fa verde nelle vene e nel velluto delle foglie d'acqua, resta il verde vero: quello rozzo dell'erba medica, macchiato solo dal bruno della terra leggermente fangosa.
C'è anche questo verde.
E il bruno: quello marroncino del fango, tramortito. E quello che, per interno furore, per gelo, si fa viola, nell'arco della volta del fondo.

E un secondo rosso: mosto tenue tenue, o fragole morte: sempre spremuti, mosto o fragole, su candida carta di pergamena, o lino di bucato, poi schiacciati col dito, sì che il liquido si spande tutto sugli orli, intenso e, nel centro resta un pallore, un vuoto, un nulla carico di qualcosa che fu rosso, ed è: ma come spettro fragrante.
Il vuoto che resta nel quadro, nei corpi dei componenti della Sacra Famiglia, e dei loro conoscenti - si presenta sì, così, bianco a sfolgorare (opaco, asciuttissimo) agli orli, nelle pieghe dei manti, ma è pur esso dipinto. E si tratta stavolta, di un giallino di spighe o di un rosa di quei fiori che non so come si chiamino, credo rose selvatiche, cresciute rozzamente tra i cespugliacci della primavera, in comuni prati o pascoli o prode di fossi: con le foglie delicate che si staccano appena a toccarle.

Un rosa più squisito di così, così femminile, è impossibile pensarlo: su quei fiori che non costano niente. Questo giallo e questo rosa - che empiono il gran vuoto dei corpi dagli orli schiumeggianti di papaveri, mosto, fragole e foglie lacustri - non sono tinte, ma soffi: soffi delicati, irregolari e potenti: come un resto indelebile d'incendio o sole sui fianchi d'un vapore in forma di colle o torrione. In cima - verde rozzo, papavero svanito, e giallino opaco - una santa e un angelo, che guardano, pietosi. Sotto, a destra, la Madonna, tutta avvolta in una grande roba del verde delle foglie di vasca raccolto intorno all'ovale della faccia senza sopracciglia.
Sotto, a sinistra due donne con cuffia a fragola stinta e abiti verdi d'acqua, che la guardano, e una, aiuta come può, a reggere il corpo di Cristo.

Il testo è ne “La Ricotta”, episodio diretto da Pasolini nel film collettivo Ro.Go.Pa.G., 1963
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